TAINER, OMBRA e LUCE

Domenica arrivò di mercoledì.

Si presentò ostentando lo sforzo di sembrare normale, affidabile.

Minuta, dai capelli lunghi che avrebbero potuto essere bellissimi... ma il resto di lei era, invece, allo sfascio estremo.

Cercò di farfugliare qualcosa che, sottovoce, si afflosciò incomprensibile nell'aria di quella mattina di prima estate. Coincidenza vuole che in quell’ufficio che rappresentava la sede di una associazione animalista, quella mattina, a riordinare le carte, c'ero io. Ci ero finita non come animalista ma per tentare di riorganizzare qualcosa di buono e che nel mondo precario del volontariato aveva inevitabilmente un po’ perso la forma.

"Scusi, cosa ha detto?" - D'istinto avevo deciso di non farmi colpire dalle apparenze e di rinchiudere nello sgabuzzino del cervello il sano sospetto che Domenica avesse in borsetta delle siringhe o che comunque fosse una donna alla quale il destino non aveva concesso né una prima, né una seconda possibilità.

Dopo qualche ulteriore tentativo di comunicazione, il problema si rapprese lattiginoso in un quadro biascicosamente più definito.

Domenica aveva seri problemi e aveva un cane che aveva seri problemi pure lui.

E lei non sapeva che fare, il veterinario non se lo poteva permettere e non lo poteva comunque più tenere, il cane. E Tainer, così si chiamava l'animale, era pure regolarmente tatuato, registrato all'anagrafe canina e lei non lo voleva né abbandonare (per paura di una sanzione), né voleva assolutamente che finisse in canile.

Lodevole.

Quel fagotto macilento, inanellato con bigiotteria scadente, sdentato, strabico, esalante il soffio di una vita bruciata, dimostrava lucidità.

Qualcosa scattò e invece di ossequiarla fuori dalla porta, feci appello a tutte le mie facoltà di traduttrice e di interprete... d'anime.

Domenica mi lasciò il suo numero di cellulare e il suo indirizzo. Viveva in una delle piccole città satellite attorno a Modena.

Il giorno dopo si recò alla sua abitazione una veterinaria di fiducia per visitare il cane. Era fine giugno e mi fu confermato che Tainer stava malissimo, che era magrissimo e che aveva la febbre alta. Domenica diceva che aveva visto Tainer correre, come spesso faceva, in un prato e mangiarne pure l'erba. Solo che pochi giorni prima erano passati col diserbante e stava così da almeno tre settimane...

Passò una settimana dalla prima iniezione e anche il caldo si faceva ormai sentire. Si sperava che l'animale avesse contratto una delle solite, banali "influenze" e che l'antibiotico facesse effetto. Ma non servì nemmeno un'altra visita, né una seconda puntura. Fu così che a casa di Domenica ci andai io.

Alla veterinaria avevo chiesto se il cane fosse docile. Mi disse che era talmente buono che non mi sarei nemmeno accorta di averlo in macchina.

L'appartamento era arredato spartanamente ma meticolosamente ordinato. Non me lo sarei aspettato da una prostituta ma, evidentemente, anche le prostitute hanno un senso del decoro e il desiderio di vivere una sembianza di normalità.

Apprezzabile.

Tainer era amorfo, disteso, sfinito sotto ad una brandina. Ero titubante, poi, lentamente lo trascinai fuori, da sotto al letto e poi anche in macchina. Non reagiva. A stento ci salì e salutai Domenica. "Sì, Ti chiamo come mi sanno dire qualcosa ma in settimana andiamo anche dall'assistente sociale. Ciao.".

E Tainer entrò in clinica perché, ormai, non c'era più nient'altro da fare. Terapia intensiva, perennemente attaccato alla flebo, la miglior equipe di veterinari della città e l'ecografia che faceva vedere un fegato ben formato.

Almeno quello.

Il tempo passava ma la febbre no. Domenica non aveva la macchina e io non avevo mai avuto un cane. Però a lasciarlo solo, per quanto amorevolmente accudito, no, non me la sentivo proprio. Va bene, facciamoci carico anche di questo: due associazioni di volontariato, un pseudo-lavoro per raggranellare da vivere, un cane a cui cercare di trovare una famiglia adottiva, nonostante le pessime condizioni di salute e la sua "mamma umana". Chissà se avrei potuto aiutare anche lei? Ai miracoli bisogna crederci, altrimenti non si avverano.

W il Redentore.

Fu così che, accompagnandola ai servizi sociali, capii gradualmente di aver incontrato una delle famiglie più disadattate della città, seguita in terza generazione dai servizi sociali e che Tainer, invece, era il cane più buono di questo mondo.

Lei non l'avrei salvata ma il cane?

Si lasciava cambiare addirittura gli aghi delle flebo senza che tentasse nemmeno di ringhiare; il cibo che non voleva, glielo cacciavo in bocca senza che mordesse. Incominciai ad andarlo a visitare ogni giorno. E a portarlo a passeggio tra una flebo e un'altra. Correva come un matto e la gente si meravigliava di come un cane così malato potesse anche essere così vitale. I medici continuavano a non capire.

La duplice operazione di riscatto non decollava. Non tutti i piani studiati a tavolino hanno successo. Gli incontri con gli assistenti sociali rimasero infruttuosi e la cartella clinica del cane era paragonabile solo all'andamento impazzito della lancetta di un metronomo.

Già, il tempo... e i luoghi comuni!

Un cane così, malato, chi vuoi che lo voglia.

Un cane così, di sette anni, non ti si affeziona più.

Un cane così, di sette anni è vecchio. Non te lo godi più.

Odio i luoghi comuni e col tempo sarei stata in grado di smontare tutte queste stupidaggini e incominciai proprio dall'ultima.

Sette anni di vita da cane corrispondono ad un essere umano di 49 anni. Allora avevo 44 anni e se qualcuno avesse osato dirmi che IO fossi vecchia, lo avrei fatto correre e avrei proprio voluto vedere se fosse riuscito a prendermi".

Touchè!

Continuava a passare il tempo, continuava ad aumentare il caldo e Tainer continuava a stare male, nonostante le cure. Eppure qualcosa non mi tornava. Ne parlai con qualche animalista e ci rimasi di stucco perché qualcuno asserì pure che ero crudele, che quello era accanimento terapeutico e che era meglio farla finita. E, sotto sotto, che tanti soldi, per un solo animale, non ne valeva la pena.

Questo è uno dei motivi per cui non sarò mai nemmeno una animalista perché, purtroppo, il buon senso, la pietà e la mitezza sono qualità "particolari", rare.

Anche nella gente comune, quella che non si sbatte per nessun ideale, giusto o sbagliato che sia.

Tainer si rifiutava di mangiare e i veterinari mi concessero di portargli della carne di manzo tritata che avevo cotto a casa. Proviamo!

Quella la mangiò con gusto anche se, a detta dei medici, non gli avrebbe dovuto fare assolutamente bene. Tainer prese a farmi sempre più le feste quando mi vedeva. Incominciavo ad essere, evidentemente, un "diversivo" divertente, non solo medicine e picchi di febbre. Strano atteggiamento per un condannato a morte e per un "vecchio che non ti si affeziona più".

Ma quante frottole rumina la gente, senza cognizione di causa?

Incominciai anche a cercare fondi per pagare il conto. Perché un mese intero di terapia intensiva andava pagato. Impallidii quando mi comunicarono l'ammontare, l'associazione anticipò i soldi e io, per orgoglio, ripagai il "debito" poco alla volta. Tainer, è vissuto a lungo, rappresentando la GIOIA DI VIVERE, grazie alle menti illuminate che hanno perorato la sua causa.

Ma torniamo a quel passato che sembrava segnato. Arrivò, inevitabilmente, quel giorno."Signora si prepari". Me lo dissero con un tono mesto e mi fecero vedere la seconda ecografia. A distanza di un mese da quando era entrato in clinica, su quella striscia di carta, c'era scritto il destino: il fegato non c'era più. Solo anni dopo capii che avevo avuto a che fare con un ecografo rotto e con veterinari che non erano stati in grado di riconoscere che l’apparecchio era difettoso. Ignara di tutto ciò, io dovevo pure andare in ferie e dovevo decidere se scaricare la responsabilità su qualcun altro.

"Toh, ti lascio un cane, decidi tu se portarlo in canile o se riportarlo dai veterinari. Tanto muore presto. Anzi, può anche darsi che tu debba decidere se farlo sopprimere".

Questo era quello che avrei dovuto dire a chi avrei lasciato la decisione in cambio di due settimane di vacanze, di pausa, di relax. Staccare, sì, dal quotidiano. Ognuno ha il diritto di alienarsi un po’ dai problemi...

...ma dalla propria coscienza?

Fu così che prima di fare alcunché, accesi un ordigno a distanza di sicurezza, chiamando il mio compagno che in quel fatidico mese non era stato a Modena. "Senti, cosa ne dici se in vacanza ci andiamo con un cane?".

Al prevedibile boato, seguì il rantolo di un tuono e poi un sospiro di rassegnazione.

Così andai a portarlo via dalla clinica ma il primo incontro tra Tainer e i miei due gatti non lasciò certo dubbi interpretativi. Lui era pure nudo sui fianchi, reduce dall’ennesima ecografia; Ronin era in casa mentre Tabby stava pattugliando il cortile. Tabby prima di venire da noi, così mi era stato detto, era stata attaccata da un cane e doveva avere elaborato il principio che l’attacco è pur sempre la migliore difesa. Lo guardò, si rimboccò le zampe un po’ corte e tozze e in quel cortile senza scampo gli si avventò contro, saltandogli alla testa come una furia indemoniata. Furono i 30 secondi peggiori della mia vita: li separai a urla e calci, con Tainer grondante di sangue.

Dovendo partire per le ferie due giorni dopo, decisi di tenerli separati e di approfittare delle vacanze per riflettere sul da farsi. Tainer passò i due giorni seguenti con me in ufficio e le due notti in garage, piangendo a dirotto, fino a quando non portai Ronin e Tabby in pensione e noi non fossimo pronti per partire.

Cominciai a pregare per un secondo miracolo che si presentò il mattino dopo in ufficio, sorridente e che si chiamava Annalisa T. Era passata accidentalmente, come spesso la premeditazione divina vuole e, già che c'era, aveva chiesto di quel povero cane che ci guardava sereno, raggomitolato in un angolo ma troppo magro per essere in salute.

Le raccontai tutta la storia e lei mi raccontò la sua, di uno dei suoi cani che tre anni prima aveva contratto non si sa cosa e al quale i reni si gonfiavano in modo visibile sulla schiena. Anche in quel caso, il veterinario si era arreso davanti all'evidenza: "Signora si prepari". E mi raccontò di come con l'aiuto di un omeopata aveva cercato, invece, di valutare se una alimentazione diversa avrebbe potuto servire. Decotti di verdure, vitamine e crocchette vegetariane.

Il cane suo era ancora vivo, MOLTO VIVO!

Tainer aveva nuovamente vomitato la sera prima ma a sentire parlare Annalisa, qualcosa di invisibile brillò nell'aria. Ma oltre al dono di una preghiera esaudita mi sarebbe stato concesso anche il dono della comprensione.

Tornai a casa di volata con Tainer che mi guardò sbigottito quando gli tirai via la ciotola di cibo. E mi misi alla ricerca delle crocchette vegetariane. Le trovai solo il giorno dopo, le mangiò senza problemi e il giorno dopo ancora partimmo per le vacanze, dopo che Domenica aveva acconsentito che adottassi il cane. E già che c'ero lo avevo anche fatto microchippare, anche se il tatuaggio era LEGGIBILISSIMO.

Prevenire è meglio che curare.

Nel bagagliaio della mia testa c'era anche una vanga per seppellirlo, una volta giunta a destinazione.

Forse.

Una eco funesta "Signora si prepari..." e il suo opposto: 12 kg di crocchette.

Roba da matti.

Partimmo. Arrivammo. Restammo. Ci godemmo. Tornammo. In TRE.

Lasciando un po’ di crocchette in regalo ai cani dell'albergatore perché erano piaciute pure a loro e con Tainer che correva sempre più veloce, tirandomi dietro come se fossi stata un aquilone.

Sprizzava gioia di vivere e noi pure.

Tornati a casa venne il momento di fare le presentazioni come si deve. Lo lasciai in stallo da una conoscente e andai a ritirare Ronin e Tabby dalla pensione. Li portai in casa e li lasciai liberi di riappropriarsi dei loro spazi e la porta a vetri, comunicante tra la zona notte e quella giorno, aperta. Staccai il citofono, il telefono, il cellulare. Tutto quello che avrebbe potuto emettere il suono sbagliato in un momento che invece doveva essere “giusto”. E andai a prendere Tainer.

Avevo deciso per un effetto-quasi-a-sorpresa e per un’azione lampo perché ci sentirono salire le scale e ci videro pure arrivare, dato che nella porta di casa avevo una gattaiola dalla porticina trasparente – attraverso quella piccola luce avevano visto non solo i miei piedi ma anche le sue zampe...

Aprii la porta, i gatti mi guardarono impietriti, esterrefatti: UN CANE, A CASA NOSTRA??? Un affronto inaudito mai avvenuto in precedenza!!! Tainer, dal canto suo, si ritrovò di fronte colei che lo aveva massacrato due settimane prima e pure un altro gatto che era grande quasi il doppio della piccola peste. Avesse potuto scomparire, si sarebbe sicuramente smaterializzato in quel preciso istante.

Nella vita, a volte, bisogna sapere essere degli sbruffoni anche se le intenzioni sono a fin di bene: entrai a passo spedito, con Tainer che mi seguiva titubante ma inesorabilmente costretto dal guinzaglio ben saldo nelle mie mani. I gatti schizzarono via, gonfiandosi come due pesci palla e iniziarono a galleggiare gonfi di collera nell’aria, subito oltre la porta a vetri che lestamente avevo chiuso alle loro spalle. Rimasero lividi di rabbia a guardarci mentre chiudevo anche la porta di casa e slegavo Tainer che decise, approfittando della porta chiusa, di acciambellarsi ai miei piedi ma rimanendo, nonostante tutto, ben in vista del pericoloso “miciame” oltre la porta.

Ronin, il più saggio dei due gatti e il più capace nel fare di conto, si disse che fintanto che la porta era chiusa, era meglio mettersi più comodi e quindi saltò sulla sponda del letto e si mise a guardare il nuovo venuto dall’alto, oltre la porta a vetri. Tabby restò, invece, col naso appiccicato al vetro ancora per un bel po’ fino a quando, finalmente, decise anche lei di smettere di fare il pesce palla e di raggiungere Ronin sul letto... per riflettere in posizione più comoda che qualcosa nelle vite di tutti noi evidentemente era cambiato. Per circa una settimana gestii casa nostra a scompartimenti stagni pur non facendo mancare nulla a nessuno, passeggiate dei gatti incluse. Iniziarono a capire che il cambiamento non aveva comportato alcuna limitazione. Dopo due settimane i gatti capirono che ora in famiglia c'era anche un cane e pure Tainer imparò a convivere con loro (per quanto sapessi che Domenica lo aveva incoraggiato, ai tempi in cui vivevano insieme, a rincorrere i gatti...).

Così arrivò il giorno che disabilitai nuovamente la telefonia, approfittai di Tainer acciambellato davanti alla porta a vetri, dei gatti accomodati sul letto come due ciuffi di panna su una torta e aprii la porta... Nessuno fiatò, nessuno si mosse e ci guardammo in quattro. È turno mio, mi dissi, e cercando di muovermi in modo normale ma un poco più lentamente del solito ed evitando movimenti bruschi, iniziai a parlare, chiamandoli anche per nome e ad andare a turno a fare le carezze ad ognuno di loro.

Non portavo così solo amore ma qualcosa di altrettanto importante: i loro biglietti da visita perché con quei delicati grattini impregnavo le mie dita dell’odore di ciascuno di loro e, accarezzandoli a turno, mi era trasformata in una sorta di ambasciatrice. Non fui né morsa, né graffiata e nemmeno rifiutata. Annusata, quello sì e pure con molta attenzione, ed era proprio quello che volevo.

Dopo un po’ Ronin prese l’iniziativa, saltò giù dal letto e uscì, passando davanti a Tainer per andare a prendere una boccata d’aria per i fatti suoi; dopo un po’ anche Tabby decise di fare la stessa cosa. Il ghiaccio era rotto! Fu però solo l’inizio perché c’era comunque ancora molto da fare!

Tainer scoprì che anche in questa casa, come in vacanza, aveva il diritto di poter saltare e dormire nel nostro lettone (prima che arrivasse lui nella mia vita, avevo depennato un’evenienza del genere con un teorico “MAI” ma 36 ore erano bastate per farmi rimangiare tutto quello che avevo pensato in precedenza). Fu così che mentre lui si godeva il lettone, Tabby tornò da una delle sue passeggiate e saltò come di consueto anche lei sul letto. Ops...

Si stupirono entrambi e Tainer, nonostante tutto, fu così contento di vederla così vicina e senza atteggiamenti bellicosi che, seppure sdraiato, si mise a scodinzolare. Non l’avesse mai fatto!!! Tabby lo guardò schifata, gli si avvicinò, gli tirò due pappine sul muso e se ne scappò disgustata, lasciando Tainer avvilito e sbigottito alle sue spalle. Almeno stavolta gli aveva solo tirato due ceffoni ben piazzati senza rifargli i connotati come la prima volta.

Una coda scodinzolante nel linguaggio del cane può avere un significato con due valenze – a seconda del caso può essere positiva o negativa. Nel linguaggio del gatto è unicamente negativa: una delle ultime avvisaglie serie prima di un attacco!

Ci voleva nuovamente un interprete e traduttore. Chi altri se non io?

La scena si ripeté il giorno dopo e questa volta arrivai in tempo a tenere ferma la coda di Tainer: Tabby se ne andò ugualmente, limitandosi questa volta solo a soffiare. Tainer però aveva capito tutto quello che c’era da capire! Quando il giorno dopo, Tabby saltò nuovamente sul letto, lui si fece piatto come un asse da stiro, una sogliola, un foglio di carta! Lei gli venne vicina e iniziò ad annusarlo mentre gli occhi di Tainer diventarono grandi come biglie, cercando il mio sguardo. Mi resi conto che ove possibile stava tentando di affossarsi ancora di più tra le coperte e di restare immobile per lasciarsi esaminare. Non riuscì comunque a contenere completamente la contentezza, la punta della sua coda gli vibrava tutta ma Tabby si dichiarò soddisfatta e gli si acciambellò accanto. Pace era fatta!

Restava Ronin. Perché in una casa, quando si è in più di uno, con gli altri bisogna conviverci e non viverci accanto.

Tainer doveva farsi accettare dal capo supremo che, come ogni giorno, aveva l’abitudine di venirmi a salutare al rientro del suo ultimo giretto serale, mentre io me ne stavo al mio posto, seduta tutta a destra del nostro comodo divano.

Quello che molte persone non sanno è che i gatti, per quanto riescano a cogliere bene da vicino i movimenti, non riescono ad avere una vista altrettanto nitida per ciò che, invece, sta fermo. Una sera, coincidenza vuole, Tainer ed io avevamo invertito i posti. Fu così che Ronin rientrando dalla sua passeggiata, saltò come suo solito sullo schienale del divano per percorrerlo fino al bracciolo e strusciarsi col volto... a quello di Tainer! Che figura... non si fanno di questi scherzi ad un gatto! Mi cercò e mi trovò seduta accanto e si ritirò stizzito con gli occhi di Tainer che erano quelli di chi s’è inghiottito anche il battito del cuore. La sera successiva si ripeté la stessa scena e Ronin mi lanciò uno sguardo lungo quanto inequivocabile: non farlo un’altra volta.

La sera dopo lo aspettai seduta al mio posto e non mi sarei mai immaginata di assistere a quello che avvenne poco dopo. Ronin rientrò, saltò sullo schienale, venne a cercarmi nel mio angolo, mi trovò, mi accarezzo e non se ne andò! Allungò lo sguardo e vide Tainer, accoccolato accanto a me, che guardava prima me e poi Ronin e poi dall’altra parte pensando: scappare, morire, che fare?

Se mai un gatto può avere avuto uno sguardo malizioso, fu quello di Ronin che maestoso (e felice per l’ordine ristabilito) mi venne in grembo con le migliori intenzioni.

Nel mondo animale per dirsi “ciao” ci si annusa naso contro naso ma le presentazioni complete avvengono non di fronte bensì sul retro: la zona perianale è piena zeppa di ghiandole, ormoni, organi che quasi tutto dicono sul loro proprietario: chi sei, se sei cucciolo, adulto o anziano, maschio o femmina, in salute oppure malconcio, desideroso di accoppiarti, capobranco di un gruppo o “single”. Se poi hai la fortuna di lasciare regolarmente la pipì all’angolo di casa, vuol dire che sei pure un habitué del posto.

Così fu che Ronin iniziò cauto a girarsi in tondo sulle mie gambe fintanto che a Tainer non rimase altro che trovarsi naso a naso con lui. Ronin diede un colpetto alle vibrisse e si fermò un attimo con Tainer che guardava prima lui e poi me, incapace di muovere le zampe che gli sembravano essersi fossilizzate sotto di lui. Ronin, invece, sapeva esattamente cosa bisognava fare e, in quanto capo, riprese a girarsi fino a quando Tainer non potè fare altro che leggere il retro del biglietto da visita di Ronin. Solo allora, Ronin, invece di congedarsi dopo queste presentazioni avvenute in piena regola e nel rispetto del cerimoniale, mi si acciambellò a sua volta in grembo, facendo le fusa, sotto gli occhi miei e di Tainer.

Dicono che gli animali non vadano umanizzati. Corretto. Ma proprio quella volta, dopo che Ronin mi si fu accoccolato in grembo, Tainer riuscì a ritrovare il controllo del suo corpo, estrasse una delle zampe anteriori e guaendo sommessamente toccò il più delicatamente possibile Ronin con la punta della zampa in un movimento che era l’abbozzo di una carezza.

Amici! Una Famiglia!

E poi mi dissero di preparargli del pesce e fu così che scoprii che, per Tainer, il pesce era VELENO. Massimo due settimane e sarebbe morto tra attacchi di vomito e diarrea.

Mettendo insieme i cocci, incominciai a capire cosa era successo. Scoprii che Domenica gli aveva dato la birra, il gelato, il caffè... che il cane, per quanto fossero veramente affezionati l'uno all'altra, rimaneva ogni giorno segregato otto ore da solo in casa (a volte li facevo incontrare e lui saltava, spinto da una gioia pura - perché quando vuoi bene a qualcuno...).

Ma solo l'affetto, solo i vizi non bastano per amare qualcuno, manco un cane. Non c'era rispetto per i suoi bisogni fisiologici.

Peccato che questi sbagli non li fanno solo le famiglie di sbandati e non li si fa solo con gli animali...

Se Tainer sul serio aveva mangiato dell'erba trattata con del diserbante, quello era stato solo il colpo di grazia a sette anni vissuti agonizzando sempre più sotto un amore cieco.

Amare non significa dire solo di sì. Amare significa anche saper dire di no. Amare un cane significa capire che un cane va nutrito come serve ad un cane e che va anche tenuto al guinzaglio. Se non avessi l'esperienza di migliaia di casi alle spalle, Tainer lo avrei smarrito non so quante volte.

Fu così che capimmo anche perché Tainer non aveva tollerato nemmeno il cibo in clinica. Perché buona parte delle lattine contenenti "carne per cani" contengono anche farina di pesce...

Mi misi nuovamente alla ricerca di un ambulatorio veterinario che fosse finalmente in grado di capire come gestire le sue disfunzioni e ci riuscii perché grazie ai nuovi veterinari, Tainer tornò finalmente alla normalità e io imparai allora a cucinare per lui e per tutti i cani che avrei adottato negli anni successivi.

Incontrai Tainer nella primavera del 2005 e negli anni che seguirono riuscii a mantenere anche la promessa che gli avevo fatto di andare a vivere in campagna e di goderci insieme gli anni a venire. Tainer è stato bene, ha potuto affrontare giustamente amato e con dignità anche la vita da "senior".

Il momento del congedo arrivò il 25 novembre del 2013 dopo un crollo repentino delle sue condizioni di salute: ad una sindrome vestibolare in una notte di fine agosto, seguirono prima attacchi epilettici e poi un carcinoma infiltrante sopra la tempia sinistra. In quei tre mesi di declino che ci diedero il tempo di prepararci alla separazione, Tainer fu nuovamente grande come solo lui sapeva essere. Mai un lamento: solo un colpo di tosse per avvisarmi ogni 90 minuti, quando voleva uscire per fare pipì. Anche di notte. Tutte le notti per 3 mesi. Lo vegliavo dall’alto, col letto messo su dei mattoni affinché potesse mettercisi sotto, non avendo più la forza di salirci sopra. Siamo stati l’uno l’ombra dell’altro.

Se n’è andato un lunedì mattina, a casa, dopo che il sabato precedente successe quello che raccontai poi ne La luna nel pozzo e nemmeno che la massiccia dose di barbiturici che gli avevo dato, fosse riuscita a sedarlo. Avevo pregato i veterinari di non sottoporlo nemmeno all’angoscia del viaggio verso l’ambulatorio e così leccandomi le mani mentre gli davo gli ultimi bocconi del migliore arrosto, la veterinaria arrivò di soppiatto alle sue spalle e con mano leggera gli fece l’ultima puntura senza che se ne rendesse nemmeno conto. Si addormentò sulle mie dita come un bimbo col suo ciuccio, col sapore di una vita assaporata fino all’ultimo secondo e lasciando a me, nonostante l’amarezza della solitudine, con la gratitudine di avere avuto la possibilità di averlo reso felice.

Siamo ancora insieme, anche se in altro modo, lui sotto al noce ad aspettarmi con una ciocca dei miei capelli e io in attesa di raggiungerlo. Col cuore lo vedo come sempre: sorridere, come solo un cane felice sa fare!

Nei mesi successivi alla sua morte soffrii molto. Nel terreno che lo copriva ai piedi del noce, conficcai una girandola colorata che in qualche modo aiutava a trasformare la tristezza in un po' di allegria. O era la sua anima a farla girare per me? Come a dirmi: sono qua, sono qua! Solo chi ha amato ed è stato amato da un cane può capire.

Non immaginavo però lontanamente che Tainer mi avrebbe lasciato, oltre che al ricordo, qualcosa di molto prezioso...

Durante le festività di Capodanno 2013-2014 ospitammo Neve. Una bella labrador biondo platino, molto amica di Red, un cucciolone che avevamo adottato 2 anni prima da una famiglia colpita dal terribile terremoto che nel 2012 aveva devastato la bassa emiliana e che nel frattempo era diventato una mezza porzione di Bernese da 30 kg, vivace, giocherellone e molto amico di Neve. Quando i proprietari vennero per riportarla a casa ci chiesero se non potevano adottare Red per poter dare a Neve un compagno...

E chi può dire di no a una bella casa con parco, giovane moglie e suoceri amorevoli? Così Red andò a vivere con la fidanzata per un periodo di prova...

E noi andammo in canile a sceglierci due cani con l’esplicita richiesta di uno sano e di uno da salvare...

Così fu che il fine settimana successivo Red si accasò felice e contento e noi trovammo due cani di cui uno, anzi, UNA sembrava la fotocopia del mio amato Tainer

5 anni in un inferno chiamato canile, prenotata e mai ritirata da altri che si erano stufati di lei prima ancora di averla mai posseduta… perché forse nel destino c’era scritto che lei fosse mia ed io sua...

E ancora dopo tre settimane, nonostante abbia sicuramente avuto una Husky come mamma o nonna, rimaniamo attoniti notando la somiglianza della nuova pastorina con Tainer...

Troppe coincidenze, una somiglianza troppo grande, ai limiti del credibile...


In anagrafe mi fecero un favore enorme ma anche solo dai primi dati che si riuscì ad estrapolare sembrò proprio che la mia nuova Ombra fosse... la figlia di Tainer.

Alcuni mesi dopo il suo arrivo, Ombra, che era timida e riservata e che fino a quel momento avevo portato in passeggiata sempre al guinzaglio, prese coraggio e scappò per i campi... per tornare 45 minuti dopo, ansimante e facendo i salti di gioia al muratore che quel giorno era venuto per dei lavori e a me, che in due eravamo partiti di corsa e con il nodo in gola per cercarla.

Fu da quel giorno che Ombra iniziò a lasciare ad un passato sempre più remoto i ricordi della dura vita in canile e di non vivere più nemmeno nell'ombra del ricordo di suo padre. Non potei fare altro che darle un nome che facesse capire che ormai splendeva di luce propria e fu così che la battezzai col suo nuovo nome: Luce.

14 Dicembre 2014



Nel 2009 l'IKEA lanciò una bellissima iniziativa: venite in negozio a farvi fotografare con la vostra famiglia per il catalogo 2010. Il mio ex se n'era andato per trascorrere le vacanze con la figlia, lasciandomi a casa a controllare pure il cantiere. Così andai allo shooting con chi se lo meritava sul serio, ossia proprio con Tainer! Che belli che eravamo!