GINSENG, MINI, HATCHOU e BAMBI


Nel mese di settembre del 2009 andammo a vivere per alcuni mesi in una fattoria. Il mio compagno di allora aveva venduto la casa in cui avevamo abitato fino a quel momento a Modena e dovevamo aspettare che terminassero i lavori di ristrutturazione della casa nuova, quella che poi sarebbe diventata L’Oasi La Martina. La fattoria si trovava nelle immediate vicinanze e mi permise di seguire meglio e con più assiduità i lavori di ristrutturazione. In quella fattoria vivevano Bella, un cane di cui ho raccontato la storia in un aneddoto a sé stante, e tre gattini, tutti della stessa cucciolata, ai quali diedi il nome di Hatchou (era raffreddatissimo, da qui il nome), Ginseng e Mini.


Le storie di quasi tutti loro sono molto tristi e rappresentano un esempio standard di come molti animali muoiano purtroppo giovani e di morte spesso violenta. L’unica sopravvissuta (almeno fino al 2018, anno in cui ho scritto questo resoconto) è Mini.


Eravamo arrivati da poco alla fattoria quando vidi la mamma di quei bei gattini morta investita in strada, proprio davanti alla fattoria. Feci un "test" e mi misi ad aspettare. Il corpo della povera creatura non venne mai rimosso per essere dignitosamente seppellito. No. Sotto agli occhi di tutti venne lasciato lì dov’era a gonfiarsi all’inverosimile sotto il sole cocente di quella calda fine estate per poi afflosciarsi come un palloncino. Nessuno ma proprio nessuno degli “umani” che vivevano nella fattoria si prese la briga di spostare almeno il corpicino. Ci pensò la folata di vento dell’ennesima macchina di passaggio e quando, finalmente, ebbi un giardino dove seppellirla e andai a cercarla, non trovai più nulla.


Hatchou morì nella primavera del 2010, pochi mesi dopo il nostro trasloco all’Oasi La Martina. Non ricordo più quante volte l’avrò portato dal veterinario per somministrargli medicine e fare esami. Avevo anche cambiato ambulatorio ma a nulla valsero tutti i tentativi per stabilizzarlo. Deperì sempre più fino a morirmi davanti agli occhi in ambulatorio, con me davanti che quasi svenni per il dispiacere e per il dolore. Alcuni giorni prima di morire, andò come spesso faceva ai piedi di una rosa in giardino ma aveva già lo sguardo così perso di chi sa che a breve è finita. La foto che lo ritrae è il mio ricordo di lui e di quando eravamo ancora insieme.


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Ginseng, Hatchou e Mini erano fratelli, tutti della stessa cucciolata e della mamma che avevo visto morta investita e avevano ca. 6 mesi nel periodo in cui ero andata a vivere nella fattoria. Scoprii che però c’era anche un’altra gattina che chiamai Bambi e che era probabilmente nata nella cucciolata successiva. Per quanto avrebbe potuto essere dolce di carattere, era molto paurosa, quasi selvatica – al contrario degli altri tre che erano degli amabili paciocconi.


Lei l’andai a catturare con una trappola dopo che già ci eravamo trasferiti nella casa nuova. Per settimane mi ero appostata in precedenza per cercare di addomesticarla ma non c’era stato verso. Nel tentativo di prenderla, catturai involontariamente prima il papà di tutti questi gattini, un indomito e ferocissimo maschio che deve avere tramandato i suoi geni, almeno per quanto riguarda la fisionomia, anche a Bavaglino che si sarebbe aggregato al mio gruppo solo molti anni dopo.


Portai Bambi a casa nella gabbia per liberarla nel Salone Grande. A quel tempo avevo collocato lì anche il pianoforte e lei, nel panico, credendo che il colore nero del pianoforte fosse un anfratto in cui nascondersi, non so quante volte abbia tentato di saltarci dentro. Infine e dopo settimane di attesa, iniziò a tranquillizzarsi senza però mai fidarsi completamente di me. In compenso fece amicizia con Mini, anzi diventarono amiche per la pelle! Dove c’era una c’era l’altra e fui molto felice per entrambi.


Evitai di farla uscire di casa perché un gatto che non risponde al proprio nome e ai comandi basilari di “sì” e “no” è praticamente ingestibile all’esterno. Le avevo lasciato qualche opportunità ma solo sotto stretta sorveglianza. Poi arrivò quel maledetto giorno ventoso in cui lei riuscì a sgattaiolare fuori da sola e non ci fu verso di farla rientrare. Volle stare fuori anche la notte e la mattina dopo la trovai investita davanti a casa. Quando quella mattina presto uscii per cercarla, non potei fare altro che prendere tra le braccia quello che rimaneva di lei e non potei fare altro che pensare alla Pietà del Rondanini.


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Mini soffrì per anni della sua mancanza. Sperammo di trovare in Picia una nuova compagnia ma non fu così. Lei, Hatchou e soprattutto Ginseng erano, caratterialmente, di tutta una’altra pasta: affettuosi, gentili, fiduciosi. E Ginseng era proprio molto speciale e molto intelligente. Convinse Bella a non avere paura né dei gatti, né a vederli come antagonisti, divenne pure il suo cucciolo prediletto. Ore e ore li ho visti giocare insieme, con Bella che faceva ogni sforzo per non fargli male e che, nonostante non fosse nemmeno in grado di emettere i versi di un cane felice,in qualche modo parlava per dire che era felicissima di quel gattino a cui tanto voleva bene. Ginseng dal canto suo era equilibrato di carattere ed amava semplicemente tutti, cani inclusi, a cui insegnava a non avere paura dei gatti. Alternava le ore di gioco con Bella, al gioco con Fonzie (anche di lui divenne grande amico), a lunghe e saporite pennichelle sul divano e a lunghe passeggiate, anche in solitario, per le campagne circostanti. Il primo ad accompagnarmi sul cantiere della casa nuova fu lui e fu anche il primo, tra tutti i gatti, a ispezionare con me tutte le stanze.


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Fu in una delle sue passeggiate che il pomeriggio del 16 gennaio 2014 uscì senza fare mai più ritorno. C’era la nebbia, faceva freddo, non un’anima viva in giro. Andai a cercarlo e chiamarlo dopo che avevo incontrato un rappresentante - perché in quel periodo avevo iniziato i lavori di progettazione del biolago che avrei fatto costruire quella stessa primavera. Nulla. Non lo trovai mai più. Trovai in compenso dello sterco di cavallo all’imbocco del viottolo dove sapevo che spesso andava a giocare. Ma chi va i giro a cavallo in una giornata di nebbia? Nel raggio di 1 km c’erano a quel tempo solo due persone che possedevano cavalli. Una di queste fu l’ultima che aveva incontrato anche Tabby.


Il giallo dei gatti scomparsi a Stiolo di San Martino in Rio non fu facile da risolvere. Prima di convincere il mio ex compagno ad acquistare la casa in campagna, mi ero recata spesso sul posto per valutare la zona e parlare con i vicini. Gli stessi inquilini della nostra futura casa avevano una trentina di gatti e mi raccontarono che la zona era tranquilla e che solo una persona che viveva lontano, aveva talmente in uggia i gatti tanto da ammazzarli.


Solo anni dopo e a furia di ricerche, fui in grado di capire come stavano sul serio le cose, scoprendo che questa persona tutto era tranne che il vero colpevole. Ai veri criminali era stato però possibile farla additare come untore distraendo l'attenzione da chi sul serio uccideva i gatti.


Ad aiutarmi a risolvere il rebus ci fu la “soffiata” di un mio anziano conoscente che da giovane andava a caccia: mi spiegò che i cacciatori ammazzano i gatti nottetempo con le armi ad aria compressa. In alternativa agiscono durante il periodo delle potature, quando il rumore delle tenaglie meccaniche copre quello dello sparo delle armi ad aria compressa. I corpi vengono fatti sparire immediatamente e questo spiegava il perché non si fosse mai riusciti a trovare nemmeno un corpo dei tanti gatti scomparsi (ed era di riflesso anche la dimostrazione che le morti non erano imputabili né a macchine, né a predatori). 


In Via Zappelletto a Stiolo di San Martino, nell’arco di 5-6 anni, di gatti padronali ne erano spariti almeno una trentina. Scomparsi nel giro di poche ore nel nulla e, insieme alla denuncia presentata alla Questura di Reggio Emilia, ne feci parlare anche al telegiornale.


Senza nulla voler togliere ai tutti gli altri ma Ginseng, JJ e Ronin sono i gatti che ho amato di più ed è veramente dura essere rimasta senza di loro.


Mini è l’unica, insieme a Bavaglino che deve essere un cugino e figlio dello stesso ferocissimo padre da me catturato e subito liberato anni prima, ad essere sopravvissuta. È tanto dolce di carattere quanto freddolosa. Inizialmente, quando ero alla fattoria, avevo spalancato anche a lei la casa. Entrò, ci stette qualche giorno, poi uscì e non ne volle più sapere di rientrare, né di farsi prendere. Dopo una settimana abbondante entrò dalla finestra (vivevamo al pianterreno) decidendo di sua iniziativa di non uscire proprio più e accettando che da quel giorno saremmo stati una famiglia. Ho mantenuto la parola.


Solitarire - Marzo 2018