ARGOBALDO DELLA MARTINA (Baldo)

Era il giorno di ferragosto, del 2011. Il mio compagno di allora era in vacanza con sua figlia ed io avevo deciso di andare a Burana (FE) per aiutare a impiattare nelle cucine della polisportiva, quando ancora vi si teneva la famosa Sagra dello Storione e del Pesce di Mare. Gli organizzatori erano stati alcuni anni prima dei miei allievi. Quanto eravamo stati bene insieme durante i miei corsi di cucina e il mio tornare a volte negli anni successivi come semplice aiuto di cucina, era una cosa che divertiva tutti.

Le preparazioni erano eccellenti e in cucina, seppure accaldati e affaccendati, ognuno aveva il suo compito e la sincronia era perfetta. In un attimo di pausa, una delle organizzatrici, sapendo della mia passione per gli animali, mi chiese se non volessi un altro cane. Rifiutai perché ne avevo già fin troppi da accudire. “No, perché sai, è da 6 mesi che cercano di prenderlo e non ci sono riusciti né gli accalappiacani, né i cacciatori. E magrissimo, spaventatissimo, non si lascia avvicinare da nessuno. Qui trova da bere e da mangiare ma ha bisogno di aiuto. Non sappiamo come fare, la sagra chiuderà a breve e quindi non avrà più nemmeno la possibilità di essere sfamato”.

Cercai di costruirmi alla svelta una corazza per respingere tutto quel dolore ma non feci in tempo. Sentii un uggiolio, inavvertitamente girai l’angolo e me lo trovai inaspettatamente davanti. Un fantasma nero, pelle ed ossa, sottovuoto, terrorizzato da tutto, anche da sé stesso.

Ammetto che purtroppo non riesco sempre ad essere come Ponzio Pilato. Deglutii la saliva che non c’era. Gli feci due foto. E dopo mezz’ora di riflessioni, passate mentre impiattavo gamberetti in salsa rosa e pesce in agrodolce, mandai le due foto al mio compagno. Che, senza rispondere, capì.

Iniziai a tenerlo d’occhio, mentre in cucina tenevano di nascosto d’occhio me, nella speranza che mi decidessi. Ma perché sempre io? Uffa. Perché il condividere viene demandato a pochi o a nessuno? Se tutti ci facessimo carico di una infinitesima parte dei problemi degli altri, di problemi non ce ne sarebbero proprio più!

Aveva una brutta ferita sull’anca in fase di guarigione. Sembrava una piaga da decubito. Se dormi solo sulle tue stesse ossa ammassate come spine sulle sterpaglie…

Una ragazza, Vanessa, era riuscita a somministrargli dell’antibiotico quando gli lasciava qualcosa da mangiare. Ma doveva allontanarsi perché mangiasse e bevesse. Troppa paura.

Quel giorno decisi di non fare nulla. Non avevo con me alcun guinzaglio e lui era troppo impaurito. Però, non so come, riuscii a stampargli un bacio in fronte prima di tornare a casa e di lasciarlo andare al suo destino. Non senza avere dato indicazioni minime sul da farsi.

Il mio compagno rientrò la settimana successiva; da Burana mi confermavano che il cane era ancora lì. Decisi che prima di tentare di catturarlo, avrei dovuto capire se c’era margine di trattativa = prenderlo con le buone. In caso contrario dovevo capire come si muoveva. Feci riferire di non dargli più da mangiare e che ci avrei pensato io nei giorni successivi. 60 km di sola andata e una canicola pazzesca. Che matti!

Sotto uno dei due grandi container frigoriferi, il cane si era trovato un avvallamento nel terreno in cui dormire al sicuro e quasi invisibile, in uno spazio alto 40 cm. Campi coltivati tutto intorno, uno di mais altissimo nelle immediate vicinanze in cui scomparire alla bisogna in pochi istanti, una trafficata strada nelle vicinanze, alcuni gatti randagi con cui condivideva i pasti. Almeno questo… sarebbe andato d’accordo con i nostri gatti… fossimo riusciti a prenderlo!

Passarono sette giorni, andando là tutte le sere e portandogli la cena con cui tentavo di abituarlo alla mia e nostra presenza. Che gli piaceva ma non abbastanza da lasciarsi accarezzare. Forse riuscii a sfiorarlo alcune volte con le dita ma ogni ulteriore timido tentativo veniva respinto con una precipitosa fuga. Così come lo fece scappare un telo che un giorno avevamo portato per vedere se ci si metteva sopra.

Mi arresi e dovetti pensare a una nuova strategia. Sonnifero. Ma quello succede solo nei film. O quasi… Era talmente magro ed esausto che non riuscivamo a stimarne nemmeno il peso e questo fattore era importantissimo per garantire che la dose di sonnifero fosse quella giusta. Se gliene avessi dato troppo, sarebbe morto. E io volevo esattamente il contrario. All’ottavo giorno ci provammo… con dei würstel farciti di pastiglie. La fame, il caldo, il sonnifero. Cercammo di prenderlo ma nonostante fosse talmente imbambolato che il mondo sicuramente gli girava intorno come una giostra, riuscii a scappare. Desistemmo non senza avere aspettato, grondanti di sudore, che si tranquillizzasse e che tornasse nelle vicinanze.

Tornammo due giorni dopo. Ci avrebbe perdonato? Ci accolse guardingo ma speranzoso. Riprovai con i würstel (senza sonnifero) ma non li volle più. “Non mi freghi un’altra volta. Ma perché tutti mi vogliono prendere? Ho paura del passato, del presente e del futuro.” Ma i cani sanno cosa è passato, presente e futuro? A modo loro penso proprio di sì. Fosse anche solo per evitare di rivivere un brutto passato - e il suo passato doveva essere stato orrendo.

Tornammo anche l’indomani, il cuore in gola e la dose di sonnifero maggiorata di un terzo. E devi anche aspettare che faccia effetto sperando che la “vittima” non si allontani troppo nel frattempo.

Riprese a barcollare e il mio compagno si posizionò alle sue spalle per impedirgli di imboccare lo spazio che correva lungo la siepe che portava direttamente sulla strada trafficata. Io gli guardavo negli occhi e pregavo che non si infilasse nel campo di frumentone. Iniziai ad avvicinarmi e mentre il mio compagno correva lesto a prendere l’odiata coperta dalla macchina, il cane si infilò disperato sotto al container. Chi mi ama, mi segua – non era certamente quello che aveva pensato lui ma io mi ci infilai lo stesso sotto al container, afferrando l’animale per le zampe e urlando al mio compagno di tirarci fuori da lì afferrandomi per l'unica cosa che di me ancora spuntava, ossia per i piedi. Non me lo dimenticherò mai.

Estratti dalle viscere di quella gigantesca scatola di latta cercammo di avvolgerlo nella coperta per afferrarlo meglio ma rischiammo di perderlo perché iniziò a dimenarsi ancora di più. Alla fine lo presi come un pastore, sperando che non mi mordesse e mi feci chiudere con lui nel baule della macchina. Pochi secondi dopo gli avevo già messo la museruola. Era disperato. “Anche voi, sembravate così gentili! Mi avete tradito. Cosa sarà di me?! Fatela finita. Sono già finito”.

Lo portammo subito dal veterinario. Era talmente dimagrito da essersi consumato quasi tutto il tessuto muscolare. Anche quello attorno agli occhi. Giunti finalmente a casa si accasciò esausto su di un cuscino arancione.

Seguirono settimane e mesi altalenanti. Era confuso e allo stesso tempo felice. Terrorizzato dalla macchina fotografica, dal flash, dai temporali ma… capì che non lo avevamo affatto tradito, anzi! Se solo ci avesse dato retta prima! Però continuava a stare male, malissimo, qualcosa non funzionava con l’intestino ma non si capiva perché. Intere batterie di esami, un nuovo ambulatorio veterinario, ecografie e radiografie. Per poco non ci morì due volte senza che potessimo capire perché e senza capire perché non fosse morto. Alla terza, in extremis, e solo grazie al mio compagno che aveva osservato un particolare e una coincidenza esclusi dai veterinari, venne operato perché s’era finalmente capito cosa c’era in quella pancia che non andava.

La ferita notata a ferragosto era ormai guarita ma non era stata una piaga da decubito bensì la traccia di un morso che aveva perforato il peritoneo in due punti. L’intestino attraverso quei buchi era stato schiacciato fuori dalla cavità addominale formando delle aderenze lungo la spina dorsale.

Chi o cosa avesse provocato quelle ferite profonde non lo sapremo mai ma non dimenticherò le due ore e mezza passate nella sala d’attesa a recitare per l’ennesima volta “DOPO”, la poesia-preghiera scritta da Nikos Dimou e strategicamente affissa al muro dell’ambulatorio davanti alla mia sedia.

Ci chiamarono. Baldo era incosciente sul tavolo, a ventre aperto, l’intestino dilatato in modo osceno, manco fosse la manichetta dei pompieri. Ma fu la sua salvezza.

Ormai gli avevamo dato un nome, Argobaldo della Martina, Baldo per gli amici, Baldino per tutti quelli che gli vogliono bene. E io che non ho la smania di volermi attorniare di animali di razza, mi sono ritrovata con uno dei più bei esemplari esistenti di Segugio Italiano. Una razza antichissima, nota già agli egizi e apprezzata anche nel rinascimento non solo per la bravura nel cacciare ma anche per lo splendido carattere. “Se sopravvive fategli una foto perché è un trattato di anatomia” – queste le parole dei veterinari mentre lo portavamo a casa perché era ormai pelle e ossa.

Si riprese in fretta dopo l’intervento, anche con l’aiuto del mio compagno e di me che per due settimane ci demmo il turno 24/24h per vegliare su di lui e sulla flebo che goccia dopo goccia contribuiva a rimetterlo in forze.

È affettuosissimo, il più felino dei miei cani. Era un po’ stupidotto all’inizio (il mio ex lo prendeva in giro dandogli del “zucca vuota”) e da certi peli bianchi comparsi qualche anno fa, stimo che oggi possa avere ca. 10 anni. Teme ancora i fulmini ma si lascia fotografare, adora le coperte, meglio ancora il piumone d’inverno quando si butta a letto per cercare e dare ancora affetto.

Qualche volta lo lasciavo correre libero a gareggiare col vento. Quando lo chiamavo, rispondeva da lontano, correva verso casa per farsi vedere, magari saltava nel biolago per bere e rinfrescarsi ed era felice per tutte le volte che anche Elena Benassi, la conduttrice di Su la Zampa/TRC che spesso veniva per riprendermi quando parlavo di etologia o cucinavo per la rubrica in coda alla bella trasmissione, gli accarezzava le lunghe e vellutate orecchie. Qui li vedete insieme nel backstage della puntata dedicata a Nuove nozioni sul senso dell'orientamento degli animali acquisite grazie all'Associazione Animali Persi e Ritrovati da me ideata.


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Quando ebbi certezza che la mia vita di coppia non aveva più alcun futuro, mi misi alla ricerca di una casa che fosse innanzitutto adatta alle esigenze dei miei beniamini. Per una serie incredibile di coincidenze riuscii a trovarla e anche se non abbiamo più un biolago, abbiamo ritrovato la serenità in nuovi spazi e nuovi luoghi. Lo stesso Baldo qui è tornato ad essere libero e indisturbato, felice di abbaiarmi da lontano per segnalarmi che ha trovato una pista e per tornare ansimante di libertà e di felicità a casa, dopo avere corso per ore, nonostante abbia un soffio al cuore importante e debba dargli da mangiare delle porzioni ipercaloriche per non deperire... cuore di mamma... ma sono immensamente felice di averlo reso libero e felice. Proprio lui!


Ormai, finalmente, è sicuro di sé e del fatto che ha una FAMIGLIA! Anche se nel mondo animale non funziona così, a volte penso a sua madre e non so cosa darei per poterle dire che, almeno uno dei suoi figli, ha avuto fortuna.

Ciao, Baldino!


Solitaire - 22 febbraio 2018